Il recente ritrovamento di alcune videocassette ha contribuito a colmare un vuoto, un vuoto che abbiamo tutti dei primi anni di vita. Più passa il tempo, e meno ricordi avremo di ciò che facevamo da piccoli, di chi eravamo. I ricordi si sovrappongono, si inglobano e si frammentano, arrivando anche a calare silenziosi nell’oblio.
Attraverso questo progetto, sono arrivata a colmare dei vuoti. Ho conosciuto una bambina simile a me, ma allo stesso tempo diversa, una bambina così distante da risultare quasi estranea.

“La nostra immagine non ha nulla a che fare con noi, anche se ne siamo gelosi. La nostra immagine non è e non sarà mai noi. Credo, e voglio credere, che ci sia in ognuno di noi una reale complessità che non si lascia ridurre: ma credo anche che in ogni immagine di ognuno di noi ci sia un’altra complessità, che allo stesso modo non si lascia ridurre a ciò che crediamo vero di noi.” (Comolli, “Vedere e Potere”).

La struttura centrale del video, racchiusa in un’introduzione e in una conclusione, rappresenta visivamente ciò che ha scritto Remo Bodei nel libro “Le logiche del delirio”: “Le epoche della vita sono spazi omogenei intervallati da censure”. I ricordi hanno una natura effimera. Nonostante io abbia recuperato molti di questi, una cosa mi è chiara:” Il destino degli archivi è la sparizione: dimenticati, deteriorati, perduti.” Abbiamo relegato il compito di conservazione della memoria alle macchine, ma la loro durata fisica “non è più longeva della durata fisica della pellicola, dei supporti, dei negativi, dei master” (Comolli, “Vedere e Potere”).

“Il cinema si riassume in una parola: rinascita. L’uomo morto fa ritorno sullo schermo, una vita postuma gli è se non assicurata, almeno possibile: la storia del cinema è fatta fino a oggi più di morti che sopravvivono in immagine che di vivi, diciamo così in esercizio. L’utopia del cinema è farci incontrare di nuovo dei morti che ritornano, vivi, sotto i nostri occhi, sullo schermo che fissa i nostri occhi così come noi lo fissiamo.”
(Comolli, “Vedere e Potere”).

Vedere i miei genitori in quelle cassette mi ha provocato molto dolore, più di quanto non avrei mai immaginato. Non è stato per niente semplice. Durante tutto il processo (di montaggio), ci sono stati dei momenti in cui avrei voluto fermarmi, ma non l’ho fatto. Una parte di me voleva riguardare e rivivere quei ricordi all’infinito, ma, soprattutto, l’ho ritenuto necessario. Volevo conoscere me, volevo rivedere quei genitori dei quali non ho molti ricordi, se non dei piccoli frammenti che non si avvicinano nemmeno lontanamente alla dolcezza di quelle cassette. Una dolcezza che, nel presente, è del tutto svanita.

Quell’uomo e quella donna, per me, sono morti.
Qui, nel presente, non c’è traccia di loro.

La differenza tra presente e passato, all’interno del progetto, è resa evidente in diversi modi, come la scelta dei colori o le diverse sorgenti dei video. Infatti, alcuni di questi sono stati presi dalle videocassette che ho ricevuto da mio padre, mentre altri, invece, sono stati realizzati da me.